Giacca sahariana e pantaloni cargo, abiti curati, freschi, barba fatta.
Ci aspetta in un bar dietro via Monte Rosa, sotto casa, la ex casa,
l'appartamento lasciato a gennaio, sfratto per morosità. È ospite da
amici fino a fine mese. Poi andrà «dritto spedito alla panchina di
fronte a casa». «Quella che vedevo quando portavo a spasso i cani. E
quando qualcuno la occupava per mangiare, dormire, ubriacarsi mi
chiedevo cosa potesse capitare a un uomo per fare quella fine». Così ha
scritto nella lettera pubblicata dal Corriere della Sera qualche giorno
fa. È stato contattato da una comunità che gli offre vitto e alloggio,
dall'opera San Francesco, dalla Cardinal Ferrari, dalla Caritas. «Li ho
chiamati subito. Grazie», dice prima di iniziare a raccontare la sua
storia.
Storia di «uno dei tanti milanesi che a 49 anni
con laurea si trova da due anni disoccupato. Abbandonato da tutti,
figlia diciottenne compresa, che vive con benestante ex moglie...».
La
seconda vita di Mario F., comincia il 27 settembre 2011. «In ufficio mi
dicono "a fine mese sei fuori". Lavoravo con partita Iva, in un'azienda
di logistica, ramo commerciale».
Da allora giornate «vuote e
inutili». «All'inizio tiri il fiato, perché lavoravo 14 ore al giorno e
non c'era tempo per niente. Poi è durissima. La mattina lasci le
tapparelle giù per non sentire la gente che va in ufficio». Inizia
subito la ricerca disperata del lavoro. «Qualsiasi, anche il più umile.
Accetto tutto». Racconta: «Provo anche con Facebook, trovo un ex
compagno di liceo presidente di una società di lavoro interinale. Lo
vedo a dicembre, mi chiama ad aprile, per un impiego in una società di
informatica che dura fino a luglio». Solo due colloqui: «Uno per vendere
autobus in Africa, dico di sì ma non mi chiamano. Uno per lavare i
piatti in una mensa, è un contratto per un giorno, lo accetto: assunto
alle dieci licenziato alle tre, pagato 24,08 centesimi». Poi silenzio.
«Mi offro come fattorino negli alberghi. Preparo un secondo curriculum,
senza laurea né diploma, solo licenza elementare. Niente, neanche così».
Le richieste di aiuto. «Vado al
patronato Acli in via della Signora. Davanti a me c'è una donna
peruviana, le danno il microcredito, cinquemila euro. A me nulla, perché
non ho lavoro. Chiedo del fondo solidarietà del cardinale Tettamanzi,
scuotono la testa. Non ho i requisiti». Le porte chiuse, tante. Ma i no
più duri da digerire arrivano da vicino. Mario è figlio unico, con una
mamma di 78 anni con Parkinson, vedova, appena sfrattata anche lei. «Ho
chiesto una mano alla mia ex moglie, mi ha dato 50 euro. So che dovrebbe
aiutarmi ma non ho i soldi per un avvocato. Ho chiesto il patrocinio
gratuito, aspetto l'autorizzazione del tribunale. Da due mesi». Ha una
figlia diciottenne, Mario. Cerca le parole per dire come è andata con
lei. «A settembre si era iscritta all'università a Milano, era venuta a
stare da me. Quando mi hanno sfrattato è tornata dalla madre. Non
risponde a chiamate e messaggi. Non sa nemmeno se sono vivo». Abbassa lo
sguardo, deglutisce. Poi riprende.
Dall'unico lavoro che resta:
«(s)vendere la tua vita». «Ogni mattina mi invento cosa vendere e dove».
«Ho tenuto soltanto il telefonino». Via la macchina, tappeti, libri,
dvd, musica. «Oggetti dai quali non mi sarei mai separato». Ceduti per
pochi euro. «Ho cercato di tenere l'ipad: al servizio "buy back" mi
hanno dato trecento euro, dopo 15 giorni per riaverlo me ne hanno
chiesti 450. Ne ho dati trenta perché non lo vendano». Costretto a
rinunciare anche ai cani. «Portati in pensione, il conto è già di
duemila euro, se non pago non li vedrò più».
Gli amici. «Alcuni sono
predisposti all'aiuto. Altri no». «E cerco di conservare la dignità».
Qualcuno c'è. «Uno è dentista e mi cura gratis, un altro è taxista, a
volte mi porta a mangiare». La compagna. «Dopo lo sfratto è tornata dai
suoi. Ora vive la sua vita». E Mario la sua. Finisce il bicchiere
d'acqua che ha ordinato. «È difficile anche trovare qualcuno che
ascolti. Lo scriva». Saluta il barista, gli dice tutto d'un fiato che
non abita più lì perché ha perso lavoro e casa, gli chiede quanto deve
per un fax inviato. Risposta del barista: «Tre euro».
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